E’ da sempre considerato un tabù, forse uno dei pochi rimasti così intoccabili: parlare di ciclo mestruale proprio non si può. Ma le donne irlandesi hanno deciso di usare proprio il loro ciclo per dare voce alla propria protesta: “se decidi sul mio apparato riproduttivo, allora devi conoscerne i dettagli” è lo slogan della campagna contro la legge sull’aborto che coraggiosamente tante donne stanno portando avanti.
Perché le irlandesi parlano delle loro mestruazioni su Twitter: una protesta pacifica, ma fastidiosa, che vuole portare alla luce una situazione che sta andando avanti da anni. Si fa di tutto per ostacolare l’aborto alle donne, anche andando contro ragioni di carattere medico. Quando l’ideologia e la medicina vanno a braccetto non ne viene mai fuori un bel servizio. Credo che per una donna essere costretta a tenere un feto morto addosso sia come farle subire una violenza tremenda. Accade in Irlanda, ma in parte accade anche da noi. Ultimamente sempre più spesso mi viene riferito di protocolli ospedalieri in cui, anche in caso di aborto spontaneo, una donna è costretta ad aspettare diversi giorni prima di avere il raschiamento per capire se può espellere il feto spontaneamente. La motivazione ufficiale è salvaguardare la salute della donna, quella reale è evitare il costo dell’intervento.
In Irlanda la situazione è ben più grave, come dimostra anche il rapporto di Amnesty International Lei non è una criminale.
Deve essere riconosciuto come un diritto di ogni donna quello di poter scegliere cosa fare in certe situazioni: un aborto non è una esperienza piacevole per nessuno e sono certa che chi arriva a fare questa scelta ha pensato bene a tutte le opzioni.