
Pensavo che non avrei sentito mai più dire la parola “femminuccia” in vita mia, che il termine fosse scomparso dal lessico del mondo moderno, che le ultime a pronunciarlo fossero state le amiche di mia madre per commentare i bei vestitini che lei mi faceva indossare.
Poi qualche giorno fa mio figlio, 4 anni, torna da scuola, io gli avevo comprato un libro da colorare con una bella copertina rosa fucsia. Lui, scandalizzato, si mette a piagnucolare “Mamma, ma è da femminuccia! Non l’hai comprato per me, dallo a una bambina”. L’ho guardato stupita: chi gli ha insegnato a dire “femminuccia”? e chi gli ha insegnato che il rosa è un colore da donne?
Mio figlio, anche se è piccolo, esce, ha una vita propria, va a scuola, incontra altri adulti, frequenta le maestre. E non importa se nella nostra casa non esistono “maschietti e femminucce”, se io e suo padre siamo due persone che condividono compiti e responsabilità per portare avanti la famiglia. Anche se un genitore cerca di portare il buon esempio, di impegnarsi contro il pregiudizio, i figli escono e inevitabilmente con i pregiudizi ci sbattono contro. E scoprono che al mondo ci sono le “femminucce”, un termine che mi è sempre sembrato non solo stupido, ma anche dispregiativo. Solo che la maestra non l’ha capito.