Madre, moglie e poi viene tutto il resto. Per fortuna non è così per tutti

Essere madre, moglie, e poi anche figlia, perché il lavoro di cura è anche questo. E poi pensare al lavoro, perché non ne possiamo fare a meno. E alla fine, proprio alla fine, pensare a coltivare il proprio talento. La scala dei valori delle donne è stata impostata in questo modo per tanto tempo. E questo è uno dei motivi per i quali abbiamo così poche donne artiste che sono riuscite a imporsi nei vari campi.

Lo sapeva bene Pearl S. Buck, una scrittrice di grande talento, che nel 1938 vinse il premio Nobel, prima donna americana. I suoi libri sono in gran parte dedicati alla Cina e alla sua vita in quel paese (è una bella storia, uno di questi giorni ve la racconto), ma in “Questo indomito cuore” http://www.sonzognoeditori.it/autori/libro/4542594-questo-indomito-cuore fa un’analisi della condizione della donna americana negli anni trenta.

“Voglio essere la miglior moglie del mondo, la migliore madre. Voglio fare un monte di belle cose nel bronzo e nella pietra, cose che dureranno in eterno. Non c’è niente che non voglia fare”.

Così parla la protagonista, Susan, che vuole essere una brava moglie e una brava madre, ma che ha una pulsione artistica fortissima che la rende una grande scultrice. Letto con gli occhi di oggi il libro (che ha una copertina orribile) può anche sembrare banale, ma va letto immaginando la potenza di questa storia al tempo in cui è stata scritta. Prima delle casalinghe disperate, prima di Betty Friedan, prima di quel movimento che un giorno fece scoprire alle donne di essere profondamente infelici. E uno dei motivi era anche per l’incapacità di queste donne di coltivare i propri talenti, per l’insoddisfazione di vivere in un mondo che sembrava non aver bisogno della loro arte.

Per questo è interessante l’iniziativa di Woman on the map http://www.iodonna.it/attualita/storie-e-reportage/2015/08/18/women-map-la-app-che-celebra-le-donne-invisibili-della-storia/.

Ci mettiamo all’opera per indicare un po’ di italiane da inserire in questa mappatura?

1975, donne non mogli

1975
Quando sono nata io era il 1975, sembra tanto tempo fa, anche se a guardarmi mi sono mantenuta benino. Io mi sono costruita una vita nel frattempo, ma le donne non sono riuscite a fare molta strada da allora. In Europa e negli Stati Uniti le donne si erano organizzate, avevano imparato a riunirsi, a combattere insieme le proprie battaglie. Anche in Italia le cose si stavano muovendo, anche se con il ritmo rallentato tipico del percorso delle riforme nel nostro paese.
Quando sono nata io è stata approvata la legge sul nuovo diritto di famiglia, che ha segnato una svolta epocale per la società di allora: agli occhi della legge non ci sono più mogli, ma donne. I due coniugi acquisiscono pari diritti e pari responsabilità, e finalmente condividono la patria potestà. Sicuramente questa è stata la legge più importante per le donne e se è stato un gruppo ristretto a lottare per averla, tutte le donne ne hanno beneficiato. In un colpo solo scomparvero la dote, la separazione per colpa, il capo famiglia e quell’incomprensibile “ius corrigendi”, il diritto dell’uomo a correggere moglie e figli. E poi le donna acquisiscono il diritto di conservare il proprio cognome, che si aggiunge a quello del marito.
E poi si dice che una legge non può cambiare la società: può farlo, certo che può. Dovremmo ricordarcelo quando critichiamo le quote rosa.