Il mito della supermamma imperversa, ma siamo sicuri che per essere madri ci voglia un fisico bestiale?
Lo dico subito: diverse donne troveranno antipatico questo articolo. Mi dispiace, non voglio rovinare la festa a nessuno, ma basta SUPER MAMME, non ne posso più. Siamo così sicure che sia una missione così straordinaria? Blog, articoli sulla stampa, libri, tutti a raccontare quell’incredibile faticaccia dell’essere madri.
Fu una parlamentare ex partigiana volitiva e molto preparata a firmare per prima la legge “per la tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri”. Era il 1950 (la legge approvata sarà poi la n.860) quando la legge fu finalmente approvata, al termine di un dibattito serrata durato per un paio d’anni. Si volevano riconoscere i diritti delle lavoratrici madri, o meglio il diritto delle donne lavoratrici ad essere madri. Trasversalmente si voleva anche tutelare l’infanzia, il diritto dei bambini ad essere cresciuti dalla propria madre, in una società che stava rendendo sempre più necessario il lavoro delle donne.
Alla fine di un lungo dibattito, insomma, arriva la legge, ed è una rivoluzione copernicana per le donne: si assicura alla lavoratrice in gravidanza un congedo di 5 mesi retibuito all’80%, su stabilisce il divieto di licenziamento fino al compimento di un anno di età del bambino, e si impone il divieto di svolgere lavori pesanti. La cosa nuova è che si impone alle aziende con più di 50 dipendenti la creazione di un nido d’infanzia, un’evoluzione di quelle “camere di allattamento” istituite nel periodo fascista.
Che fine hanno fatto quei nidi aziendali che la legge prometteva e che erano un obbligo del datore di lavoro? Naufragati, perchè molto volte le donne lavoravano lontano dal lavoro e il viaggio per i bambini era stancante; e poi non erano gestiti da personale specializzato, ma da dipendenti che magari venivano assegnate a quella funzione. Così di nidi ne nacquero pochissimi. Soprattutto negli anni sessanta il movimento delle donne era molto attivo e si ritenne fosse meglio togliere l’obbligo dei nidi aziendali in capo ai datori di lavoro, per passare a un concetto di asilo nido “territoriale”, che diventa quindi competenza comunale (legge 1044/1971).
E cosè si arriva alla situazione in cui siamo oggi, dove gli asili nido sono un miraggio: pochi e costosi. E pensare che nel 1950…
Pensavo che non avrei sentito mai più dire la parola “femminuccia” in vita mia, che il termine fosse scomparso dal lessico del mondo moderno, che le ultime a pronunciarlo fossero state le amiche di mia madre per commentare i bei vestitini che lei mi faceva indossare.
Poi qualche giorno fa mio figlio, 4 anni, torna da scuola, io gli avevo comprato un libro da colorare con una bella copertina rosa fucsia. Lui, scandalizzato, si mette a piagnucolare “Mamma, ma è da femminuccia! Non l’hai comprato per me, dallo a una bambina”. L’ho guardato stupita: chi gli ha insegnato a dire “femminuccia”? e chi gli ha insegnato che il rosa è un colore da donne?
Mio figlio, anche se è piccolo, esce, ha una vita propria, va a scuola, incontra altri adulti, frequenta le maestre. E non importa se nella nostra casa non esistono “maschietti e femminucce”, se io e suo padre siamo due persone che condividono compiti e responsabilità per portare avanti la famiglia. Anche se un genitore cerca di portare il buon esempio, di impegnarsi contro il pregiudizio, i figli escono e inevitabilmente con i pregiudizi ci sbattono contro. E scoprono che al mondo ci sono le “femminucce”, un termine che mi è sempre sembrato non solo stupido, ma anche dispregiativo. Solo che la maestra non l’ha capito.