Come capire cosa vuol dire essere una donna nera grazie a un libro: Americanah

Io sono di Prato e nella mia città ci sono tante donne di tante nazionalità diverse (108 secondo l’anagrafe, un melting pop notevole) e ci sono anche tante donne nigeriane. Sono giovani, vestono con  abiti colorati e nei giorni di festa madri e figlie sono vestite allo stesso modo. Noto sempre i loro sorrisi, ma non mi sono mai fermata a pensare alla loro storia o a come si trovano nella mia città.

Poi ho iniziato a leggere i libri di Chimamanda Negozi Adichie e mi sono incuriosita. Il primo è stato “Metà di un sole giallo” dedicato alla sanguinosa guerra civile nigeriana. Il Biafra, quella zona poverissima dell’Africa i cui bambini denutriti venivano usati come l’emblema della fame nel mondo quando ero piccola venivano da lì.

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Crescere una bambina femminista: i consigli di Chimamanda Ngozi Adichie

Diceva Simone De Beauvoir che “Donna non si nasce, si diventa”; non si nasce nemmeno femministe, ma si può essere educate ad esserlo, almeno secondo quello che dice Chimamanda Ngozi Adichie nel suo pamphlet in uscita il 7 marzo. Si intitola “Cara Ijeawele. Quindici consigli per crescere una bambina femminista” e questa mattina su Robinson, l’inserto culturale di Repubblica, è stata pubblicata una sintesi delle raccomandazioni della scrittrice nigeriana. Ma ha senso oggi cercare di crescere una bambina femminista?

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Donne, serve un’altra storia

Se avessi la costanza di raccogliere con diligenza ogni giorno i numerosi articoli che escono sul web e sulla carta stampata sulle questioni di genere (prima o poi riuscirò a organizzarmi!) potrei dimostrare che ormai su questa cosa si dice tutto e il contrario di tutto.
Si va dalla scuola di pensiero dell’omologazione, che cerca di eliminare le differenze tra i due generi partendo dall’educazione dei bambini e delle bambine, per arrivare alla scuola di pensiero delle quote rosa e quindi del recinto per donne che devono crescere.
La verità e’ che, di base, resta sempre nella nostra società una percezione negativa della donna che vuole aver un maggior riconoscimento per il proprio ruolo. La definiamo femminista? Non lo so, il termine mi sembra riduttivo, per tutto quello che ancora comporta e che Chimamanda Ngozi Adichie, scrittrice nigeriana, ha raccontato su Internazionale di questa settimana:

“naturalmente e’ un po’ uno scherzo, ma dimostra che la parola femminista sopì porta dietro un bagaglio negativo notevole: odi gli uomini,modi i reggiseni,modi la cultura africana, pensi che le donne dovrebbero essere ai posti di comando, non ti trucchi, non ti depili, sei sempre arrabbiata, non hai senso dell’umorismo, non usi il deodorante”

Per la nostra società le donne sono sicuramente il fondamento della famiglia e della vita sociale, questo non ce lo toglie nessuno (vorrei vedere come farebbero altrimenti i nostri uomini); siamo talmente coscienti di questo nostro ruolo da sentirci schiacciate dal senso di responsabilità e quindi è sempre un atto dovuto per noi fare delle rinunce per il “quieto vivere”. Questo ci si aspetta da noi: che garantiamo il “quieto vivere”. Sappiamo che ci sono desideri sacrificabili e sono i nostri; difficilmente riusciamo a lavorare per un compromesso che ci permette di tenere uno spazio per noi.

Lo facciamo anche perché siamo sempre raccontate così: il cinema, ad esempio, non riesce a proporre ruoli femminili negativi, con donne arriviste, ambiziose, spietate. Quando lo fa, banalizza sempre la cosa: una donna e’ “cattiva” se ha sofferto da bambina, ma in realtà aspira sempre all’amore e alla felicità coniugale. La rappresentazione di quello che siamo e’ importate per riuscire a fare delle cose.

Donne, ci servono altre storie. Esploriamo il nostro lato oscuro, non siamo solo vittime.