“Una donna deve avere soldi e una stanza suoi propri se vuole scrivere romanzi” diceva Virginia Woolf in “Una stanza tutta per sè”. Per la scrittrice inglese se le donne avessero avuto il tempo e le risorse necessarie per scrivere, sarebbero riuscite a raccontare il mondo secondo il loro personale punto di vista. Il mondo ce lo hanno sempre raccontato gli uomini (nella maggioranza dei casi bianchi) e per le donne c’è sempre stato poco spazio.
Avete idea di quanti libri si scrivono sulle donne in un anno? Avete idea di quanti sono scritti da uomini? Sapete di essere l’animale forse più discusso dell’universo?
Gli uomini hanno scritto fiumi di parole sulle donne, cercando di rappresentarle nel loro modo personale e molto parziale. Virginia Woolf ce lo racconta bene. Quando si dà voce a una donna si deve fare i conti inevitabilmente con quella mistica della femminilità che non lascia scampo: la donne è madre, è figlia, è moglie. Se rifiuta questi ruoli rientra diventa “ribelle” o “scandalosa” o “matta”. L’amore ha sempre un potere catartico nella vita di una donna, è l’unica ancora di salvezza. O almeno secondo gli uomini. Potrei fare un elenco di scrittori anche famosi e illuminati che hanno inciampato su questo stereotipo.
Ragazze, dovrei dirvi – e per favore ascoltatemi, perché comincia la perorazione – che a mio parere siete vergognosamente ignoranti. Non avete mai fatto scoperte di alcuna importanza. Non avete mai fatto tremare un impero, né condotto in battaglia un esercito. Non avete scritto i drammi di Shakespeare, e non avete mai impartito i benefici della civiltà ad una razza barbara. Come vi giustificate? È facile dire, indicando le strade, le piazze, le foreste del globo gremite di abitanti neri e bianchi e color caffè, tutti freneticamente indaffarati nell’industria, nel commercio, nell’amore: abbiamo avuto altro da fare. Senza la nostra attività nessuno avrebbe solcato questi mari, e queste terre fertili sarebbero state deserto. Abbiamo partorito e allevato e lavato e istruito, forse fino all’età di sei o sette anni, i milleseicentoventitré milioni di esseri umani che secondo le statistiche sono attualmente al mondo; e questa fatica, anche ammettendo che qualcuno ci abbia aiutate, richiede tempo.
Cosa ci vuole dire Virginia Woolf? che non siamo state abbastanza determinate nei secoli nel raggiungere i nostri obiettivi? che alla fine ci siamo lasciate rinchiudere in quelle gabbie che hanno costruito per noi? e non sono stati solo gli uomini a costruirli, ma anche le donne. Noi donne non ci aiutiamo, anzi. Siamo le prime a non credere nelle nostre capacità.
Faccio parte di un gruppo di lettura. Siamo tutti lettori affamati, da 40 libri all’anno. Quest’estate abbiamo organizzato un concorso online all’interno del gruppo: eravamo in 120. Ognuno di noi doveva segnalare i libri del Novecento che aveva amato di più. Sono venute fuori lunghe liste, molto interessanti. Peccato che le donne fossero quasi assenti.
Le donne alla fine della votazione erano tutte oltre la sedicesima posizione ed erano veramente poche: Virginia Woolf, Elsa Morante, Goliarda Sapienza. Eppure il gruppo di lettura è composto in maggioranza da donne, perché noi siamo sempre state lettrici più appassionate. Ma le donne non leggono le donne. Come se non avessero bisogno di sentire la propria voce. Forse sono i temi che nella maggioranza dei casi trattiamo? Niente grandi avventure o epiche battaglie, ma storie familiari, indagini sui rapporti tra le persone.
Le donne che oggi possono avere quella stana tutta per sé in molti casi vengono relegate nella letteratura di genere: quella rosa (e su questa definizione ci sarebbe da dire molto) o quella gialla e il mistery. Il mercato non le valorizza, noi donne non le valorizziamo. Mi dispiace dare torto a Virginia Woolf, ma non basta una stanza tutta per sé